LO STRANO CASO DEL SIGNOR M
- storiescomode
- 5 feb 2021
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Come già noto a lor signori il buon Giuseppi, unitamente al corteo di bimbe festanti e adoranti, damazze festose e colorite, saltimbanchi e questuanti vari, ha saluto Palazzo Chigi attraverso una improvvisata quanto sgangherata conferenza stampa con un tavolino da picnic su cui erano poggiati una decina di microfoni.
Insomma, nonostante i gravi problemi che ci affliggono e che non elenco nuovamente per evitare un tentativo di suicidio, non ci siamo persi neppure l’ultima carnevalata in salsa Casalino con tanto di disponibilità esternata a piene mani nel voler continuare a servire il Paese.
La risposta alla generosa offerta avanzata dal buon Giuseppi, vedrete, non tarderà ad arrivare attraverso un cortese e deciso “ NO GRAZIE”.
Si dirà che il personaggio è rimasto coerente sé stesso fino alla fine ed a tal riguardo non abbiamo nulla da eccepire: non si può chiedere ad una formichina di trasformarsi in leone ma in questo caso è mancata totalmente la buona volontà anche solo di migliorare un tantinello (come avrebbe detto il Principe della risata) rispetto al solito e scontato copione propinato in questi lunghissimi tre anni che congediamo senza rimpianti di sorta.
Detto che Giuseppi continua a fare quello che sa così come il suo braccio destro Rocco Casalino a cui auguriamo una fulgida carriera in tutt’altro campo lavorativo, non intendiamo infierire oltre su entrambi anche e soprattutto per una questione di stile nonché di rispetto innanzitutto per noi stessi onde evitare di essere tacciati di sciacallaggio su chi è uscito nettamente sconfitto dalla contesa politica.
Quello che francamente lascia stupiti e per la verità anche leggermente disgustati è la inversione ad U compiuta da tutto il circuito mediatico mainstream (fatta eccezione per quelle poche anime pie che ancora conservano un briciolo di dignità) che fino a lunedì sera era prostrato al cospetto del prode Giuseppi e del suo fido scudiero Casalino e, che, precisamente dalle ore 21,16 della stessa sera, ha voltato le spalle ad entrambi inneggiando a Supermario Draghi (le cui doti e qualità indiscutibili sono cognite da un pezzo) senza battere ciglio.
Insomma, i voltagabbana non esistono solo in politica ma fanno proseliti anche e soprattutto nel mondo del giornalismo e soprattutto di quello che non perde occasione per schierarsi dalla parte del più forte e del nuovo vincitore: anche questo però è un vecchio difetto di italica provenienza per cui si sale e si scende dai carri con una naturale repentinità senza dubbio impressionante e meschina.
Negli ultimi anni si è assistito però ad un altro spettacolo altrettanto indegno ed indecoroso che pure tocca quella parte del giornalismo nostrano che non fa proprio onore alla categoria ed è quello del tifoso da stadio che tiene in pugno la bandiera del partito anziché la penna di cui servirsi per scrivere un pezzo.
Sinceramente si fa fatica a comprendere il nuovo fenomeno atteso che il giornalista, per quanto legittimo portatore di proprie idee politiche, deve essere e soprattutto apparire credibile.
La punta di questo temibile iceberg è stata perfettamente incarnata dal Fatto Quotidiano e dal duo Scanzi –Travaglio che negli ultimi tre anni ha sfacciatamente fatto propaganda a favore dei cinque stelle, del buon Giuseppi e del suo governo, il tutto condito da insulti, minacce più o meno velate e contumelie di ogni genere rivolti a chi cercava di fare onestamente il proprio lavoro ponendo legittimi interrogativi sull’operato dell’esecutivo e dei suoi ministri.
Non ancora paghi del proprio capolavoro giornalistico, all’indomani delle dimissioni di Conte, i fantastici due hanno continuato nella propria attività propagandistica ponendosi quale ambizioso obiettivo quello di dettare addirittura l’agenda politica al movimento cinque stelle al motto : “MAI CON DRAGHI E FINO ALLA MORTE CON GIUSEPPI!”.
Riteniamo, sulla base di fondati motivi che traggono la loro origine dal vecchio motto coniato da Leo Longanesi ovvero il “tengo famiglia” che i parlamentari pentastellati stavolta non ascolteranno il loro guru anzi lo abbandoneranno definitivamente per sposare la causa di Supermario Draghi.
Sono purtroppo queste le conseguenze nefaste che scaturiscono dall’insano rapporto che si è costituito negli ultimi anni tra il giornalismo, anzi un certo tipo di giornalismo, e la politica: entrambi si sono macchiati di colpe tremende perché non sono state capaci di evolversi nel reciproco rispetto dei ruoli.
La politica continua a perseguire il suo vecchio vizio di voler mettere a tutti i costi il cappello sulla classe giornalistica di questo paese nella speranza di ricavarci un tornaconto in termini di propaganda finalizzata al consenso (a tal proposito neppure si contano più i proclami dei politici di turno che all’opposizione vogliono riformare la Rai e poi, una volta al governo, non disdegnano di metterci le mani sopra per portare a casa qualche direttore di rete o di Tg) mentre un certo tipo di giornalismo si è ormai consegnato alla politica senza battere ciglio barattando il proprio ruolo originario che era quello di fare le pulci al potere al fine di ottenere qualche prebenda utile a garantirsi la sopravvivenza.
E’ quindi una semina andata a male da cui non possono che nascere frutti avvelenati e l’esempio del Fatto Quotidiano è quello più emblematico in tal senso: Travaglio si è giovato per anni del suo rapporto privilegiato con i cinque stelle ed ha pensato addirittura di essere il loro ideologo ma i vili interessi di bottega hanno rovesciato il tavolo ed ora il Direttore si dimena come una mosca nel barattolo ben conscio del fatto che l’insano rapporto si è chiuso nel peggiore dei modi in quanto è stato lui a rimetterci le penne poichè sedotto e bidonato.
Abbiamo citato l’esempio di Travaglio e del Fatto Quotidiano perché è quello più eclatante ma purtroppo Travaglio non è il solo giornalista con la bandiera in mano (magari così fosse) ed è anzi in buona compagnia: c’è solo un modo, a nostro modesto avviso, per spezzare questo perfido incantesimo ed è quello per cui ciascuno torni a fare il proprio lavoro, nel proprio ambito di competenza, senza travalicare i sacri confini ed evitando commistioni e comunelle che nel breve periodo possono essere anche premianti ma alla lunga sottraggono credibilità e serietà.
Come diceva lo stupendo Nino Manfredi nel grande film “In nome del Popolo Sovrano”: facciamo i preti, solo quello, che non ci perdiamo niente…
BRUNO IANNIELLO

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