LE SFIDE DI MARTA CARTABIA – LA PRESCRIZIONE
- storiescomode
- 16 feb 2021
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Nata a San Giorgio su Legnano (MI) il 14 maggio 1963, sposata, tre figli, Marta Cartabia è professore ordinario di Diritto costituzionale, nel settembre 2011 viene nominata dal Presidente della Repubblica giudice della Corte costituzionale, ne diviene Vice Presidente dal Novembre 2014 ed è eletta Presidente della Corte l’11 dicembre 2019.
È stata la prima donna a ricoprire la carica di presidente della Corte Costituzionale, da Settembre dello scorso anno ovvero da quando ha cessato l’incarico, è tornata ad insegnare all’Università.
La sua sfida al Ministero di Via Arenula è di quelle da far tremare i polsi ma quale modesto legale di provincia non posso che esprimere massima soddisfazione per la scelta compiuta dal neo Presidente del Consiglio Draghi e benedetta dal Capo dello Stato.
Dopo due anni e mezzo di gestione alquanto discutibile da parte di Bonafede si può dire che è stata rimessa la Chiesa al centro del villaggio e che finalmente una persona dotata di spiccato spessore nonché di oggettiva competenza è stata chiamata a risolvere questioni urgentissime ed intricate che incidono sulla vita di ciascuno di noi nonché sui diritti costituzionalmente garantiti.
La prima questione scottante sul tavolo del neo Ministro riguarda quella della prescrizione su cui si è determinato un vero e proprio vulnus che deve essere sciolto in tempi brevi nel pieno rispetto dei diritti dell’indagato prima e dell’imputato poi nonché della necessità di garantire un processo penale celere, snello e soprattutto definito con sentenze di assoluzione ovvero di condanna e non attraverso provvedimenti con cui si prende atto della prescrizione.
E già, perché ogni volta che un processo penale si estingue a seguito della prescrizione si determina una vera e propria sconfitta dello Stato che non ha saputo amministrare la giustizia in un lasso di tempo ragionevole per i motivi più svariati che possono rintracciarsi soprattutto nell’incuria di chi ha il dovere di far decollare il procedimento penale nella fase delle indagini preliminari.
Il più delle volte il processo risulta difatti già prossimo alla prescrizione allorquando si celebra la prima udienza dibattimentale innanzi il Giudice monocratico o il Tribunale in composizione collegiale ed a quel punto il Magistrato si trova costretto compiere a vere e proprie acrobazie per arrivare quanto meno ad emettere la sentenza prima che la mannaia della prescrizione si abbatta inesorabilmente.
Su questo annoso problema si sono scontrati negli ultimi anni due orientamenti: il primo che vorrebbe sospendere il decorso del termine di prescrizione dopo l’emissione della sentenza di condanna in capo all’imputato ed il secondo che invece punta ad un potenziamento della macchina della giustizia attraverso l’assunzione di personale in quanto non ritiene sufficiente a tal uopo l’informatizzazione del procedimento penale attraverso cui è stata concessa la possibilità ai procuratori di depositare in via telematica un numero piuttosto cospicuo di atti quali liste testi, memorie conclusive, denunce – querela che fino a qualche tempo fa richiedevano la presenza fisica negli appositi uffici e cancellerie.
Cerchiamo però di sfatare alcuni falsi problemi che sono stati creati ad arte negli ultimi anni dai sostenitori della prima tesi ed a tal uopo faccio mie le parole di buon senso spese la settimana scorsa dall’illustre collega Gian Domenico Caiazza, attuale Presidente dell’Unione delle Camere Penali in un suo post pubblicato su Facebook:” Si avvicina il voto in Parlamento su alcuni emendamenti al Mille Proroghe che, ove approvati, sospenderebbero o addirittura abrogherebbero la sciagurata riforma Bonafede della prescrizione. Visto che tira una brutta aria per i tifosi di quell’obbrobrio sgrammaticato, ora la parola d’ordine è quella di “evitare i temi divisivi”. Come si dice a Roma, la buttano in caciara.
Perciò credo sia opportuno mettere a disposizione di chiunque possa e voglia farne uso, una breve guida pratica, con alcune essenziali informazioni utili almeno a mettere a nudo le bufale travaglio-davigo- caselliane che già tornano in circolazione senza freni.
Mi limito alle questioni più evidenti, e di immediata comprensione anche per i non addetti ai lavori, lasciando volutamente da parte ogni polemica ideologica o culturale tra garantismo e giustizialismo. Vediamo chi è che racconta balle in questa storia, e perché. 1.La riforma Bonafede è giustificata da un alto tasso di prescrizione dei reati, una anomalia tutta italiana che legittima l’impunità e mortifica le aspettative di giustizia delle vittime del reato. Vero o falso? Penosamente falso. In Italia, ormai da molti anni, vigono termini di prescrizione dei reati molto alti, e non di rado indecentemente alti. Qualche esempio: la corruzione si prescrive in 18 anni; l’associazione mafiosa da un minimo di 40 anni e 6 mesi a 68 anni; l’omicidio stradale da 20 anni e 8 mesi a 33 anni; la violenza sessuale non aggravata in 28 anni; il riciclaggio semplice in 18 anni; l’omicidio volontario non aggravato in 33 anni; la bancarotta fraudolenta non aggravata in 15 anni e 6 mesi; furti in abitazione o pluriaggravati e scippi aggravati in 15 anni e 6 mesi; rapine ed estorsioni da 15 anni e 6 mesi a 28 anni; e potremmo continuare. Sostenere perciò che termini del genere non siano sufficienti, e che Giustizia vuole che – per rimanere ad uno degli esempi- un processo per omicidio stradale possa e debba essere definito anche oltre i 33 anni dal fatto, segnala o mala fede, o patologie di tipo psicotico ossessivo di gravità medio-alta. 2. La Riforma Bonafede accorcerà i tempi del processo, perché la interruzione del termine dopo la sentenza di primo grado rende inutili appelli e ricorsi in Cassazione finalizzati solo a far maturare la prescrizione. Vero o falso? Questa è una menzogna più esattamente ascrivibile alla macroarea delle idiozie. Come anche un sasso saprebbe comprendere, un appello si propone dopo la sentenza di primo grado, e contro di essa. Le costanti statistiche del Ministero di Giustizia ci confermano da decenni che in quel momento, cioè al deposito della sentenza di primo grado, sono già maturate tra il 70/75% delle prescrizioni (oltre il 60% addirittura prima dell’udienza preliminare). Inoltre, i ricorsi per Cassazione puramente defatigatori, perciò dichiarati inammissibili, fanno retrocedere il calcolo della prescrizione alla data della sentenza di appello. Dunque lo stesso sasso di cui sopra è anche in grado di comprendere che ben oltre l’85 per cento del “problema prescrizione” ha a che fare con le impugnazioni come il cavolo con la merenda. Perciò non solo è falso che la riforma Bonafede sia destinata a ridurre i tempi del processo, ma è invece drammaticamente vero il contrario. Come ogni magistrato italiano sa bene, tranne Davigo, le Corti di Appello celebrano con grande fatica un numero elevatissimo di processi ogni giorno sotto minaccia della data di prescrizione del reato, stampigliata in grande evidenza in alto a destra su ciascun fascicolo. Eliminata quella data, perché mai si dovrebbe continuare con quei ritmi forsennati?
3.Gli avvocati ben pagati fanno durare a lungo i processi: Vero o falso? Spudoratamente falso. Per lo meno da vent’anni non c’è più modo, per avvocati ed imputati, di far valere un impedimento o di richiedere un rinvio che sia uno senza che il decorso della prescrizione si interrompa. Dovrebbe esserci un limite alla indecenza di queste bufale. 4. La prescrizione esiste solo in Italia. Vero o falso? I reati si prescrivono, in proporzione alla gravità, anche in Francia, in Spagna, in Germania, ovunque. Nei paesi anglosassoni si prescrive non il reato ma l’azione, cioè il processo, in tempi imparagonabilmente più brevi dei nostri. Paragonare le mele con le pere è il metodo tipico di chi argomenta per pura polemica, fingendo soprattutto di ignorare che l’unica vera esclusiva italiana è quella della durata irragionevole delle indagini e dell’inizio sistemicamente tardivo dei processi. Una anomalia incivile che rende l’imputato prigioniero di una inefficienza a lui per di più non imputabile. Una vergogna. Facciamola finita, che è giunta l’ora.
Le sacrosante considerazioni del Presidente dell’Unione delle Camere Penali sono fondate su dati di fatto ovvero su numeri e statistiche incontrovertibili per cui si torna al discorso fatto all’inizio di queste modeste righe: il problema della prescrizione non risiede nel processo quanto piuttosto in tutto ciò che precede il processo ovvero in quel lasso di tempo che decorre dalla presentazione della denuncia – querela fino alla celebrazione della prima udienza dibattimentale ed è la fase delle indagini preliminari che consta di vari passaggi di carte da un ufficio all’altro nonchè di attività investigative che devono essere compiute celermente sia pure nel pieno rispetto dei diritti dell’indagato contemplati dal nostro ordinamento.
Le riforme vere, quelle strutturali, non possono mai essere a costo zero e devono necessariamente prevedere dei massicci investimenti statali capaci di colmare realmente ed effettivamente le lacune esistenti nella farraginosa macchina della giustizia penale (di quella civile ci occuperemo la prossima settimana) ma su un punto non si può transigere ed è quello di impedire che il cittadino si trasformi in un imputato a vita per cause e motivi del tutto estranei alla sua volontà.
BRUNO IANNIELLO

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