LA TORRE DI BABELE
- storiescomode
- 5 mar 2021
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«Tutta la terra aveva una sola lingua e le stesse parole. Emigrando dall'oriente gli uomini capitarono in una pianura nel paese di Sennaar e vi si stabilirono. Si dissero l'un l'altro: "Venite, facciamoci mattoni e cociamoli al fuoco". Il mattone servì loro da pietra e il bitume da cemento. Poi dissero: "Venite, costruiamoci una città e una torre, la cui cima tocchi il cielo e facciamoci un nome, per non disperderci su tutta la terra". Ma il Signore scese a vedere la città e la torre che gli uomini stavano costruendo. Il Signore disse: "Ecco, essi sono un solo popolo e hanno tutti una lingua sola; questo è l'inizio della loro opera e ora quanto avranno in progetto di fare non sarà loro impossibile. Scendiamo dunque e confondiamo la loro lingua, perché non comprendano più l'uno la lingua dell'altro". Il Signore li disperse di là su tutta la terra ed essi cessarono di costruire la città. Per questo la si chiamò Babele, perché là il Signore confuse la lingua di tutta la terra e di là il Signore li disperse su tutta la terra.»
I versi sopra riportati sono stati integralmente estratti dal libro della genesi e riguardano la costruzione della Torre di Babele. Sul punto si contrappongono due teorie differenti entrambe degne di nota: la prima fa riferimento ad un progetto di Dio che voleva gli uomini divisi e sparpagliati sulla Terra obbligati a trovare un modus vivendi sia pure tra le differenze di linguaggio.
Un'altra interpretazione del racconto vede invece una severa punizione di Dio inflitta agli uomini che nel vano tentativo di alzarsi al cielo senza dover attendere la morte si vedono costretti a rinunciare a tale proposito restando quindi intrappolati fino alla fine dei loro giorni alla umanità terrena.
Dio fa quindi capire agli uomini che l'atto di ricongiungimento con l’ Altissimo può avvenire solo dopo la morte e chiunque tenti di anticipare i tempi sarà vittima della sua tremenda punizione.
Del resto, proprio nella Bibbia esistono molti esempi analoghi a quelli della Torre di Babele in cui Dio riserva ai peccatori punizioni durissime, prima fra tutte quella inflitta ad Adamo ed Eva, oppure quella legata alle vicende di Noè e della sua arca o agli egiziani che detengono il popolo ebraico in schiavitù.
L’'episodio della torre di Babele potrebbe quindi trovare la sua interpretazione proprio seguendo il filo logico sopra esposto nel senso che Dio finirebbe per punire coloro che, attraverso la torre la cui altezza è incommensurabile, intendono "aspirare al cielo" già durante la vita terrena e quindi vogliono paragonarsi allo stesso Dio.
Gli uomini dell’età contemporanea hanno provato più volte ad “elevarsi” ma non nel senso spirituale del termine (se non altro il peccato potrebbe anche trovare una giustificazione morale) quanto piuttosto nella accezione meno nobile, paragonandosi a Dio in modo del tutto goffo e ridicolo.
Si sente spesso dire che quel tale personaggio appartenente al mondo del cinema, dello spettacolo ed anche della politica e dello sport, crede di essere un Dio, si comporta come in Dio, canta da Dio, gioca a pallone da Dio.
Gli esempi potrebbero proseguire ma il significato di questi modi di dire è abbastanza chiaro: esiste uno sconfinato numero di persone che detiene di se stessa una opinione altissima, sconfinata ed il cui ego è talmente vasto che farebbe ombra all’intero deserto del Sahara.
Deve essere chiaro che i fenomeni sono sempre esistiti e fortunatamente, per noi comuni mortali continueranno ad esistere, ma si possono contare sulle dita di una mano sola ed il loro tratto distintivo, come un marchio di fabbrica, risiede proprio nella capacità di manifestare il talento con la massima naturalezza e spontaneità.
Insomma il vero fenomeno neppure sa di esserlo perché tutto quello che fa o dice rientra nel proprio armamentario di gesti compiuti senza neppure accorgersene: per fare un esempio, Maradona batteva divinamente le punizioni con la stessa naturalezza con cui un comune mortale sorseggia un bicchiere d’acqua: i suoi colpi di genio non erano frutto di un allenamento sfiancante ovvero di una ripetizione pedissequa dello schema tattico.
Lo stesso dicasi per Pablo Picasso, Leonardo Da Vinci, Vincent Van Gogh il cui immenso talento era insito nel proprio patrimonio generico: il genio deve trovare la scintilla ma non l’estro, lo stimolo empatico e non l’opera d’arte che ha già in testa comprensiva dei dettagli.
Diffidate di coloro che si circondano di servi sciocchi e cortigiani che per mero interesse sono disposti a raccontare gesta mai compiute, miracoli mai accaduti, imprese neppure sfiorate: il vero genio è sempre solo e muore nella più totale solitudine, non pecca di presunzione a differenza del comune mortale che invece si costruisce una torre artificiale per bruciare le tappe ed avvicinarsi a Dio presagendo che non potrà farlo neppure dopo la sua morte.
Il fenomeno vero è quanto di più terreno possa esistere, è tra noi e non freme tantomeno ha paura di ricongiungersi a quel Dio a cui deve totale gratitudine per averlo fatto così ricco di talento: attende pazientemente il suo momento nella più assoluta umiltà.
BRUNO IANNIELLO

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