top of page

LA LEGGE MAMMI’ E CINQUE MINISTRI DIMISSIONARI

  • storiescomode
  • 16 gen 2021
  • Tempo di lettura: 4 min

Tra le tante ipotesi di ricomposizione della crisi emerse in questi giorni ve ne è una alquanto curiosa se non addirittura stramba secondo cui il Presidente del Consiglio, a seguito delle dimissioni delle due ministre espressione di Italia Viva ovvero Teresa Bellanova ed Elena Bonetti, avrebbe potuto tranquillamente sostituirle alla stregua di quanto fece il divo Giulio Andreotti nel Luglio 1990 allorquando si dimisero ben cinque ministri del suo Governo (soprannominato il Giulio VI) ovvero Sergio Mattarella, Ministro della Pubblica Istruzione, Calogero Mannino, ministro dell’ Agricoltura, Carlo Fracanzani, ministro delle Partecipazioni statali, Riccardo Misasi, ministro per il Mezzogiorno e Mino Martinazzoli ministro della Difesa.

Cerchiamo però di capire se il precedente richiamato da alcune fonti di stampa è da considerarsi pertinente oppure no alla stregua delle vicende degli ultimi giorni ed a tal uopo ci viene in soccorso lo stesso Mino Martinazzoli che nel suo libro “Uno strano democristiano” edito da Rizzoli ricorda l’episodio: “Eravamo tutti della sinistra democristiana: Calogero Mannino, ministro dell’ Agricoltura, Carlo Fracanzani, ministro delle Partecipazioni statali, Riccardo Misasi, ministro per il Mezzogiorno, Sergio Mattarella, ministro della Pubblica istruzione, e io.

Il presidente del Consiglio Andreotti aveva posto la fiducia sul provvedimento che riguardava l’ emittenza radiotelevisiva e sosteneva che l’ esecutivo e "il pazientissimo ministro Mammì" si erano sforzati di conciliare le opposte rigidità arrivando a un testo che, secondo lui, riduceva in molti punti la posizione del gruppo privato televisivo più consistente, senza invece fissare alcun obbligo specifico per la televisione pubblica sostenuta dal canone.

Secondo noi, invece, e ne resto convinto, la legge Mammì non era la grande legge regolativa dei rapporti tra servizio televisivo pubblico e privato che volevano farci intendere. Era la fotografia, la presa d’ atto, di quel che nel frattempo era accaduto, senza che ci fosse una vera regolamentazione del settore privato della comunicazione”

Era una legge che non potevamo in alcun modo condividere. Eravamo contrari a quel provvedimento e lo avevamo detto nel corso di queste sedute del consiglio dei ministri che si svolgevano nella sala del governo, cioè in un luogo da dove si poteva raggiungere facilmente l’ aula per votare. L’ ultimo giorno di questa discussione in consiglio dei ministri, Andreotti ci propose di votare il provvedimento in consiglio, procedura inusuale. Avremmo votato no e avremmo tenuto un punto d’ onore. Fuori dal consiglio dei ministri, però, avremmo votato a favore della legge Mammì e non ci saremmo dimessi.

Intervenni proprio io per dire che il problema non era di tenere il punto d’ onore, ma era una cosa ben più seria. Proprio in quel momento suonò il campanello per richiamarci in aula. Gli altri andarono, in quattro rimanemmo a discutere. Mannino era a Bruxelles per una riunione della Comunità europea. Lo raggiungemmo per telefono e gli spiegammo la situazione. Gli parlai io e gli chiesi anche l’ autorizzazione a firmare le dimissioni a suo nome. Fu questione di pochi minuti. Sul tavolo c’ erano carte da lettere e buste. Presi un foglio, scrissi la nostra posizione, misi tutto in una busta e la diedi a Mattarella perché la portasse in aula ad Andreotti. Sulla porta Mattarella si voltò per chiedermi se avevo fatto una copia della nostra lettera. Mi toccò riaprire la busta, ricopiare su un altro pezzo di carta, che mi misi in tasca, e ridargli la lettera. Poi andammo dov’ era riunito il gruppo Dc. C’ erano, tra gli altri, De Mita e Bodrato. Confermammo loro che ci eravamo dimessi. Dalle facce mi sembrò di capire che erano stupiti dal fatto che ci fossimo dimessi davvero. I sottosegretari erano piuttosto inquieti perché temevano di doversi dimettere a loro volta. Ma non accadde nulla. In meno di un’ ora il presidente del consiglio aveva avvisato il Quirinale del rimpasto di governo e aveva scelto i nostri successori. La mattina dopo, Andreotti fece una brevissima comunicazione per annunciare le nomine dei ministri Vito Saccomandi all’ Agricoltura, Virginio Rognoni alla Difesa, Franco Piga alle Partecipazioni statali, Gerardo Bianco alla Pubblica istruzione, Giovanni Marongiu agli Interventi straordinari per il Mezzogiorno. La discussione andò avanti e il voto alla Mammì fu favorevole. A distanza di anni resto tutt’ ora convinto che quella legge non andasse approvata.

Lo stesso Martinazzoli chiarisce quindi che i cinque Ministri dimissionari erano espressione della corrente di sinistra della Democrazia Cristiana e ricordiamo altresì che Andreotti accettò le dimissioni, sostituì i ministri dimissionari ed incassò il voto di fiducia del Parlamento due giorni dopo senza bisogno di aprire la crisi.

Si può quindi facilmente comprendere come le due vicende, quella del 1990 evocata da Martinazzoli e quella esauritasi qualche giorno fa con le dimissioni dei due Ministri espressione di Italia Viva siano completamente differenti ed i motivi sono di carattere oggettivo.

L’allora Democrazia Cristiana era certamente composta da correnti e spifferi vari ma i deputati ed i senatori democristiani votarono la fiducia in favore della nuova compagine governativa in quanto i cinque ministri dimissionari avevano deciso di compiere il gesto a dispetto della linea politica della Democrazia Cristiana che invece ritenne di sostenere ugualmente il Governo.

Si trattava quindi di una posizione personale, del tutto nobile, legittima e dignitosa ma che non aveva ricevuto il sostegno e l’avallo del partito di appartenenza.

Tornando ai nostri giorni le Ministre Bellanova e Bonetti si sono dimesse dall’attuale esecutivo in quanto la forza politica di cui erano espressione ovvero Italia Viva non condivideva più le scelte governative tanto è vero che i motivi di doglianza posti a base del loro gesto sono stati ampiamenti sviscerati dal leader del Partito Mattero Renzi nel corso della conferenza stampa tenutasi in settimana.

Se le ministre Bellanova e Bonetti avessero rassegnato le dimissioni quale scelta personale in aperto contrasto con la linea politica del proprio partito si sarebbe potuta considerare più che legittima la scelta di una loro sostituzione da parte del Presidente del Consiglio senza per questo passare dal Quirinale.

La verità è che Matteo Renzi ha aperto una vera e propria crisi di governo e sarebbe il caso di prenderne atto percorrendo le strade tracciate dalla nostra Costituzione al fine di trovare la sua soluzione.

BRUNO IANNIELLO


 
 
 

コメント


Post: Blog2_Post

Modulo di iscrizione

Il tuo modulo è stato inviato!

©2020 di Storie scomode. Creato con Wix.com

  • Facebook
  • Twitter
  • LinkedIn
bottom of page