LA GRANDEZZA DI PEPPINO
- storiescomode
- 12 gen 2021
- Tempo di lettura: 5 min

Credo che negli ultimi tempi siano fischiate le orecchie ad Eduardo De Filippo per tutte le volte che è stato nominato.
Difatti, oltre alla rivisitazione di Natale in Casa Cupiello trasmessa dalla Rai qualche giorno prima di Natale è stato altresì mandato in onda sabato scorso, sempre su Rai 1 ma in seconda serata, un documentario interessantissimo sulla vita e sul carattere del grande commediografo che è stata narrata da molti attori che avevano avuto il privilegio di calcare il palcoscenico insieme a lui tra cui Marisa Laurita e Isa Danieli.
Altrettanto interessanti gli spunti offerti da nipoti Tommaso, Luisa e Matteo, nipoti di Eduardo e figli di Luca De Filippo prematuramente scomparso qualche anno fa.
Dai racconti dei protagonisti del documentario è scaturito il ritratto di un uomo severo ma non perfido e cattivo come invece alcuni critici per anni avevano provato a dipingerlo, insomma un grande artista che pretendeva molto da sé stesso ed esigeva altrettanta professionalità da coloro che lavorano con lui: una delle regole ferree per entrare a far parte della compagnia teatrale di Eduardo era quella di non fidanzarsi tra compagni d’arte.
Il Maestro temeva infatti che il rapporto sentimentale tra gli attori della sua compagnia potesse ripercuotersi negativamente sul lavoro da portare in scena e pertanto chi decideva di intrattenere un rapporto affettivo con un compagno di scena sapeva in partenza di dover fare le valigie e la cosa riguardava entrambi.
E’ però risaputo che davanti alle telecamere non si dice mai tutta la verità e i rapporti alquanto turbolenti ed estremamente tesi tra i due fratelli Eduardo e Peppino hanno fatto il giro del mondo per quanto fossero noti alle cronache.
La rottura ufficiale tra i due avviene nel Novembre del 1944 ed è raccontata dallo stesso Peppino nel suo libro “ Una famiglia difficile”.
Ne riportiamo uno stralcio per farvi capire lo stato dell’arte: “ Ci trovavamo a lavorare con la nostra compagnia già da qualche settimana al cinema teatro Diana sul Vomero a Napoli ed erano gli ultimi giorni di novembre 1944.
Gli attori erano tutti riuniti nella sala d'aspetto del teatro per le prove dello spettacolo da mettere in scena subito dopo quello in corso. Già qualche giorno prima i miei rapporti con Eduardo si erano incrinati ancora più allorquando, durante un ennesimo scontro, cercando di mettere acqua sul fuoco pur di arrivare ad una intesa più tollerabile tra noi due, ma, constatando l'irremovibilità di Eduardo e alludendo alle continue offese delle quali mi aveva fatto oggetto durante l'intero corso della discussione, gli domandai : "Ma dimmi, se io ti trattassi nel modo spregevole come tu mi tratti, cosa faresti?" Con tono chiaro e scandendo bene la frase rispose : "Me ne andrei!" "Allora - risposi io - me ne andrò!"
I nostri rapporti dunque erano rimasti a questo punto quando nella sala d'aspetto del teatro ci eravamo riuniti per le prove del nuovo spettacolo.
Le prove, naturalmente, proseguivano pigramente e senza convinzione nè da parte mia nè da parte di mio fratello preoccupato solo di mostrarmi tutta la sua disistima e antipatia. Ad un certo momento, ad un mio gesto di fastidio, la miccia si accese e la bomba scoppiò.
La collera di Eduardo, violenta e rabbiosa esplose in tutta la sua ampiezza tanto che, a voce alta, presenti tutti gli attori della compagnia, cominciò ad insultarmi con parolacce da trivio che quì, soprattutto per pudore, non riporto.
Frenando i miei nervi non lo interruppi unicamente perchè mi pareva impossibile che un uomo della sua acuta intelligenza e delle sue condizioni sociali potesse scendere a tale volgarità di espressioni e nei riguardi di un suo congiunto che tra l'altro nei suoi confronti non si era mai e poi mai permesso, in qualsiasi dannata occasione, di comportarsi a quel modo villano. Gli attori assistettero disorientati non sapendo quale partito prendere, ma nel loro intimo, son sicuro, seppero ben giudicare.
Strillava, Eduardo, strillava e inveiva sempre più, rosso in viso. Lo lasciai sfogare poi, calmo, battendo lievemente le mani palmo contro palmo, con tono che non eludeva la più chiara ironia, dissi . "Duce...duce...duce!"
Questa frase lo imbestialì a tal punto che i presenti dovettero intervenire per calmarlo e portarlo alla ragione. Fu un brutto, bruttissimo episodio, un fatto vergognoso che ancora mi ripugna nel ricordarlo”.
Da quel momento le strade dei due artisti si separano e Peppino decide di intraprenderne una tutta sua attraverso un nuovo tipo di teatro che non fosse recitato in lingua strettamente dialettale.
Sarà proprio Peppino a spiegare molti anni dopo la sua scelta, non senza un pizzico di amarezza, nel corso di una intervista rilasciata al giornalista Gaio Fratini nel corso della trasmissione Odeon tutto quanto fa spettacolo dietro le quinte del suo adattamento dell’Avaro di Moliere.
“ Gli attori comici vanno scomparendo perché far ridere è difficile, tu prova a raccontare una barzelletta e poi provala a ripetere dopo tre ore e vedrai che non diverte più nessuno, io mi sono servito di una tecnica per far ridere che ho imparato sulle tavole del palcoscenico.
Gli attori che rifiutano i personaggi sono fessi e quelli che dicono che ho abbandonato e tradito il mio dialetto che è la lingua napoletana pure sono dei fessi. Dopo la separazione con mio fratello cercai una strada nuova che non fosse quello del linguaggio stereotipato perché del resto se anche parlo in italiano corretto sui capisce lo stesso che sono nato a Napoli e questo è stato il teatro che ho voluto creare. Mi rattrista sapere che gli attori comici non siano considerati artisti in senso assoluto perchè nella risata c’è una grande poesia ”.
Ma cosa ha rappresentato Peppino De Filippo nella storia dell’arte e del teatro contemporaneo?
E’ stato un gigante, al pari del fratello Eduardo, un gigante della comicità, quella genuina, spontanea, di quella comicità che non ha necessità di ricorrere ad espedienti, trucchetti, volgarità ed amenità prive di senso.
Peppino ha lasciato un patrimonio artistico senza precedenti nella storia del teatro mondiale attraverso commedie scritte straordinariamente bene quali “Cupido scherza e spazza” con il protagonista Vincenzo che fa il netturbino ma non si accorge che la moglie interpretata da Dolores Palumbo lo tradisce con il “Caporale” detto anche Pascuttella interpretato dall’ottimo Gennarino di Napoli, “Un ragazzo di campagna” con le due versioni del 1959 e del 1978 che vedono in entrambi i casi la presenza del figlio Luigi che interpreta la parte del fratello ingenuo Pasqualino, la straordinaria “ A Coperchia è caduta una stella” nella versione del 1963 ove interpreta un cafoncello arricchito che crede di essere un latin lover, “ Don Raffaele il trombone” nella versione del 1972 ove interpreta Raffaele Chianese che pensa di essere un genio dell’arte ma è solo un povero cristo che non ha voglia di lavorare, l’esilarante “Miseria bella” nella versione del 1959 recitata sempre in coppia con il figlio Luigi ove due artisti squattrinati non si reggono in piedi dalla fame ma ricordiamo anche la struggente “ Quaranta ma non li dimostra” scritta con la sorella Titina ove il ritratto della figlia Sesella che è arrivata zitella all’età di quaranta anni è magistralmente dipinto da una scrittura sobria ed elegante.
Ho citato solo alcune commedie ma potrei proseguire con “ Pranziamo assieme”, “ Spacca il centesimo”, “ Non è vero ma ci credo”, “ Quale onore” e tanto altro.
Peppino è stata la spalla di Totò in tanti film comici di cui si conoscono a memoria le battute anche se probabilmente il vero comico tra i due era proprio lui ma è stato anche il creatore di un personaggio comico eccezionale quale Pappagone nelle due edizioni di Scala Reale (una vera e propria Canzonissima) del 1966 e del 1967.
E’ giusto ricordare Eduardo ma non dimentichiamoci di Peppino e chiudo queste poche righe con una sua considerazione sul significato dell’arte comica: “Io sono sicuro che il dramma della nostra vita di solito si nasconde in una risata compulsa provocata da una azione qualsiasi che a noi è sembrata comica. Sono convinto insomma che spesso nelle lacrime di una gioia si celino quelle del dolore, allora la tragedia nasce e la farsa, la bella farsa si compie”
BRUNO IANNIELLO
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