I PRESIDENTI - ANGELO MASSIMINO
- storiescomode
- 21 dic 2020
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Battezziamo oggi una nuova rubrica intitolata: “ I Presidenti” dedicata ai massimi dirigenti delle squadre di calcio che hanno fatto la storia del nostro football: irascibili, rissosi, appassionati, genuini fino al midollo, mangia allenatori, non sempre in linea con i corretti parametri grammaticali e lessicali ma anche innamorati alla follia delle loro squadre di calcio.
Nell’epoca delle proprietà straniere e del calcio business la loro mancanza si sente eccome soprattutto per chi, come il sottoscritto, ha vissuto l’epopea segnata da personaggi quali Anconetani, Rozzi ed Angelo Massimino, solo per citarne alcuni.
Inauguriamo oggi la rassegna proprio dall’ultimo che ho citato ovvero Angelo Massimino che nasce a Catania il 16 Gennaio 1927, figlio di Alfio, costruttore edile: nel 1949 emigra in Argentina dove vive per due anni e si arrangia facendo il muratore, torna due anni dopo a Catania e con i soldini messi da parte avvia la sua attività di imprenditore edile.
Diventa ben presto uno dei maggiori imprenditori edili catanesi e decide di avvicinarsi al mondo del calcio sul finire degli anni cinquanta.
Da giovane “Angelineddu” tenta, senza successo, la carriera di calciatore e il suo ingresso nel mondo del calcio risale al 1959 quando rileva la società dilettantistica SCAT, militante in Prima Divisione, dove giocano i dipendenti dell'omonima azienda di trasporti della città etnea, e che ribattezza con il nome di Associazione Sportiva Calcio Massiminiana SCAT.
Massimino rimane nell'organico del club di famiglia come vicepresidente ma nel giugno 1969 fece ingresso nella maggiore società calcistica della città etnea, il Calcio Catania, che militava in Serie B, presieduto da Ignazio Marcoccio, di cui diviene membro del consiglio direttivo.
Un mese dopo Marcoccio rassegna le proprie dimissioni da presidente della società rossoazzurra, e viene costituito un comitato di reggenza a sei di cui fece parte lo stesso Massimino, che nel frattempo usciva dal club di famiglia.
Il consiglio di amministrazione del Calcio Catania tenutosi il 23 settembre, e l'assemblea dei soci riunitasi il 25 ottobre per nominare i nuovi dirigenti ed eleggere i membri del consiglio di amministrazione, eleggono all'unanimità Massimino per la carica di presidente della società rossoazzurra, affiancato da Michele Giuffrida come vicepresidente e da Salvatore Costa come amministratore delegato.
Alla prima stagione sotto la presidenza Massimino, il Catania nella stagione 1969-70, allenato da Egizio Rubino, si piazza al terzo posto nella classifica del torneo cadetto ed ottenne la promozione in Serie A ma l’anno successivo la squadra ritorna tra i cadetti.
Angelo è costretto a lasciare il club che però nella stagione 1973-74 retrocede addirittura in serie C ed allora, a furor di popolo e su sollecito del Sindaco di Catania, nell'estate 1974 torna a ricoprire la carica di massimo dirigente rossoazzurro, e della società diviene pure azionista di maggioranza.
Dopo anni di alterne fortune ottiene la seconda promozione in Serie A nella stagione 1982-1983 con l'allenatore Gianni Di Marzio ma torna immediatamente in B nella stagione successiva. L'ultima retrocessione in Serie C1 nella stagione 1986-87 gli è fatale: ancora una volta i tifosi lo costringono a cedere la società.
Nell'agosto 1987, Massimino rassegna le proprie dimissioni da Presidente e successivamente cede il pacchetto di maggioranza ad una cordata di imprenditori e professionisti locali rappresentata da Angelo Attaguile e Franco Proto. Il fallimento sportivo della squadra sotto la presidenza Attaguile, con cinque stagioni anonime in Serie C1, comporta anche la crisi finanziaria della società - di cui azionisti di maggioranza erano diventati il fratello Turi e il nipote Alfio Luciano Massimino con il 51% delle quote - per la quale nel 1992 la FIGC chiede la sua liquidazione, scongiurata grazie all'intervento economico di Massimino, che dapprima paga 200 milioni di lire per impedire che sei dei dieci giocatori che hanno messo in mora la società durante la stagione 1991-92, possano svincolarsi, e poi rileva il 73,5% delle azioni del Catania.
Il salvataggio della società rossoazzurra, di cui Massimino torna ad essere proprietario e presidente, è sancito con la revoca della sua messa in liquidazione fatta dalla FIGC da parte del Tribunale di Catania, che accoglie l'istanza presentata dalla medesima.
Nel corso della stagione 1995-96, ai primi di marzo, Massimino perde la vita in un incidente automobilistico sull'Autostrada Catania-Palermo: Il presidente rossoazzurro è di ritorno da Palermo cui si è recato per incontrare il vicepresidente della Lega di Serie C, Mario Macalli al fine di risolvere un contenzioso con la Federcalcio.
Il 20 giugno 2002, sei anni dopo la sua tragica morte, in suo onore viene intitolato lo Stadio Cibali di Catania.
Nel luglio 2015 il periodico Guerin Sportivo lo inserisce al sessantaquattresimo posto della speciale classifica dei 100 presidenti migliori di s

empre.
Cosa resta nella memoria di ciascuno di noi? Le sue battute soprattutto.
E’ il 1969 e in una stagione riesce a conquistare la Serie A.
Debutto memorabile: al Cibali scende la Juve con Pietruzzo Anastasi centravanti. I bianconeri strappano la vittoria a un quarto d’ora dalla fine, gol di Bettega e il Conte Cavalli, accompagnatore ufficiale della Juve, a fine partita si dirige verso Massimino stringendogli la mano: «Mi dispiace, sono cose che succedono». Massimino replica: «Non rompetemi i coglioni».
In campo, all’arbitro Carminati, fa fatto il gesto dell’ombrello e si busca i primi tre mesi di squalifica.
Il Catania vince solo 5 partite e retrocede.
Con gli allenatori disputa una guerra continua: Calvanese scappa dal Catania traumatizzato, a Di Bella viene l’ulcera, assume e licenzia quattro volte Rambone, chiama e liquida ripetutamente Mazzetti e quando ingaggiò Di Marzio, dice: «Me lo ha imposto il Comune».
Guarda le partite dall’uscita del sottopassaggio e si reca al Cibali tenendo nella giacca un santino della Madonna della Lacrima di Siracusa «che ha funzionato in un paio di spareggi, non in tutti». Per un certo tempo indossa anche d’estate un pesante cappotto: lo aveva messo nella partita del primo gol del Catania in Serie A.
Per il suo secondo campionato in Serie A spende sei miliardi. Ai giornalisti annuncia: «Sto partendo per un paese che non vi posso dire per comprare due brasiliani». Acquista Luvanor, 22 anni, e Pedrinho, 26: il primo doveva essere il nuovo Zico e il secondo più veloce di Falcao. Rinfaccia a Di Marzio quegli acquisti che non si rivelano un granché: «Io volevo i polacchi Smolarek e Kupcevicz».
Acquista Andrea Carnevale appena ventiduenne e si scaglia contro l’arbitro Benedetti, “reo” di aver annullato un gol a Cantarutti che gli avrebbe fatto vincere la partita col Milan finita 1-1 inchiodando il Catania all’ultimo posto. Grida al complotto affermando che gli avevano mandato Benedetti per non farlo vincere: con l’arbitro romano il Catania, in sei gare, non aveva mai vinto.
Acquista Troja a 32 anni, Claudio Ranieri a 31 e Walter Novellino a 33. Chiama Bulgarelli a fargli da general manager e prende a calci il giocatore Sabadini che reclama stipendi arretrati. Spiega successivamente l’equivoco sull’amalgama. In precedenza aveva detto: «Tutti mi dicono che alla squadra manca amalgama. E perché non lo compriamo questo Amalgama? Ditemi dove gioca e io lo compro». Si corregge così: «Se ci fosse stato un giocatore di nome Amalgama, un esperto di pallone come me l’avrebbe saputo». Altra chicca: «Andiamo tutti a Bari con un volo charleston».
Si intestardisce a voler parlare l’italiano ma ne esce puntualmente male. «A me non mi prenderanno mai per i fondali». In una conferenza stampa dice: «Quando abbiamo andati?». Un giornalista lo corregge: «Siamo, presidente, siamo». E lui, sorpreso, chiede. «Ah, c’eri pure tu?».
Al ristorante guarda il menu e sottolinea: «Il prezzo è convenevole». Mangia senza esagerare e commenta: «Questo pasto è fugace». A un cameriere dice: «Questo prosciutto puzza di pesce», e si sente rispondere: «È salmone, signore». Si impatacca con la salsa e i suoi pranzi finiscono puntualmente con due operazioni: lo spargimento del talco sulla camicia e una siringa di insulina per ridurre il diabete. «Sono malato per colpa della Federcalcio», confessa.
Questo è stato Angelo Massimino.
Negli ultimi anni non ci vedeva più: aveva un decimo della vista di una persona normale, ma continuava a vedere complotti nel calcio. «Mi rompono le uova sul paniere». «Non me ne andrò con le pile nel sacco».
Secondo molti racconti, Massimino, si piazzava dietro la porta avversaria e diceva: “ammuccati ‘ sti puppetti”.
Odiava quelli che allo stadio non pagavano, “i pottoghesi”, e per smascherarli si nascondeva dentro la biglietteria. Chi lo ha conosciuto bene racconta che apostrofava in questo modo coloro che avevano il permesso di entrare gratis nello stadio, sia come arbitro designato che come carabiniere,” ahhhhhh, macari… allura lei è cunnutu e sbirru !!”
Grazie di tutto Presidentissimo.
BRUNO IANNIELLO
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